di Rosa Gargiulo
“Quando ho pensato all’investigatore per il mio nuovo romanzo, ho scelto di tratteggiare il profilo di un non commissario: un uomo che analizza, ascolta, osserva, fa domande, investigando in maniera non convenzionale e non lineare. Un amante della filosofia nel senso più puro del termine: speculativo e riflessivo. Un commissario che coniuga la sua anima artistica a quella scientifica e investigativa”. è la spiegazione che ci dà Nicola Calathopoulos, autore del giallo “Testimone imperfetta” (Edizioni Minerva).
Il commissario Farina, infatti, sarà impegnato nella sua prima vera indagine sul campo, e lo farà seguendo un percorso personale e originale.
“Testimone imperfetta” racconta del brutale omicidio di una giovane donna, avvenuto negli ambienti del più importante gruppo editoriale italiano. Il caso sembrerebbe di facile soluzione, perché c’è una testimone. Ma nulla è come appare, e infatti Martina Saggesi – che ha assistito all’omicidio – ha guardato in faccia l’assassino ma non è in grado di riconoscerlo, essendo affetta da un deficit percettivo che non le consente di ricordare i volti: la prosopagnosia.
Come mai hai deciso di inserire questo disturbo così particolare all’interno del romanzo?
“Non conoscevo la prosopagnosia, e in effetti sono tantissime le persone che non sanno cosa sia. Anche molti medici hanno difficoltà ad approcciare questo deficit. Me ne ha parlato una cara amica, che ne è colpita, e lo ha fatto con il sorriso sulle labbra. Ho pensato che io non sarei mai riuscito a raccontare la mia vita senza la possibilità di riconoscere le facce della gente con la stessa serenità. Ci sono casi in cui le persone che ne soffrono non riconoscono neanche se stesse allo specchio, una condizione terribile. Eppure la mia amica ne parla facendo passare la sua condizione come se fosse semplice da gestire. Per questo motivo ho pensato di caratterizzare il personaggio di Martina con la prosopagnosia, per farla conoscere e per rendere merito all’apparente leggerezza con cui la mia amica ci convive”.
Quello di Martina Saggesi è il ritratto di una donna che non si piange addosso, forte e coraggiosa. Sicuramente un personaggio positivo e di grande impatto, che insieme al non – commissario Farina (e ad una giornalista che si occuperà del caso) rende il romanzo accattivante e nuovo, rispetto al panorama italiano della giallistica.
In Italia sono davvero tanti gli autori di romanzi gialli, un genere sempre più apprezzato. Come ti inserisci in un contesto così affollato?
“Creando un nuovo filone, almeno è quello che mi piace pensare. Il mio romanzo è un giallo esistenziale, perché l’indagine si muove su piani narrativi diversi, andando soprattutto ad approfondire le vite e gli aspetti psicologici dei protagonisti. Mi interessa far sentire la loro voce, i pensieri, lo sviluppo delle loro vite, parallelamente al racconto del caso vero e proprio da risolvere. Un romanzo nel romanzo, non meno importante”.
Retaggio della tua esperienza giornalistica, forse?
“Parafrasando Clausewitz, io dico che la letteratura è la prosecuzione del giornalismo in altri modi. Il giornalismo sintetizza la vita in tutti i suoi aspetti, proponendoci dettagli – particolari – prospettive parziali e sempre più spesso rapide di fatti ed eventi. La letteratura segue il procedimento opposto, andando ad approfondire e ampliare la narrazione, valorizzando gli aspetti che danno forza al racconto. Quando scrivo romanzi, faccio questo: amplio, approfondisco, aiuto il lettore a entrare nel set e nei personaggi. Credo che sia il compito di chi scrive: aiutare il lettore a orientarsi, entrare tra le pagine, vivere la storia impossessandosi dei suoi elementi”.
Una visione ben definita di scrittura.