La rivista per numeri Uno

“Quella notte senza luna”: il libro denuncia di Giovanni Margarone

Condividi su:

di Francesca Ghezzani

“Quella notte senza luna” dello scrittore Giovanni Margarone racconta la storia di Elena, una giovane donna che vive in povertà a Genova. Il romanzo esplora le sue lotte interiori e le difficoltà che affronta a causa della sua condizione sociale e una malattia debilitante. L’amicizia con Beatrice le offre momenti di gioia e sollievo, ma la sua condizione sociale e la storia personale con la madre continuano a tormentarla. 

Giovanni, qual è il tema principale del romanzo e come si collega al contesto storico di Genova negli anni ’70?

“Questo romanzo ha come tema principale quello della vicinanza verso le persone che soffrono per svariati motivi, tra i quali, nel caso della protagonista di questa storia, quello della miseria, quella vera. Sì, perché Elena, una ragazza che dovrebbe gioire della sua giovinezza, è costretta a una condizione di indigenza, comune a tanti clochard che ci sono nelle nostre città. Ho scelto di scrivere un romanzo di questo genere per lanciare un segnale forte, soprattutto a chi vive di indifferenza e di pregiudizio, essendo convinto che il mondo sia solo di chi gode del benessere; ma il mondo è di tutti, anche di quegli ultimi che arrancano in una vita sempre in salita fra mille difficoltà. Il contesto storico non è strettamente collegato alla storia che narro, perché potrebbe essere collocato anche al nostro tempo. La scelta di intersecare le vicende con l’alluvione è stata da me adottata per rafforzare il pathos narrativo, nonché per far ricordare in qualche modo quel tragico evento e, da ultimo, per omaggiare la terra nella quale sono cresciuto: la Liguria”. 

Quali sono le principali differenze tra il mondo dei “barboni” e il mondo borghese e come queste differenze influenzano i personaggi e la trama?

“Come ho cercato di descrivere nel romanzo, la prima differenza tra i due mondi è senz’altro dovuta ad avere la dignità repressa se non schiacciata da una parte, mentre dall’altra la dignità è fatta salva, in contraddizione, come succede sempre quando parliamo di povertà, a quanto sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Avere negati dei diritti fondamentali schiaccia la dignità umana e in un mondo che si ritiene civile e progredito; questo non dovrebbe succedere. Altra differenza tra i due mondi è data senz’altro dalla mancanza di attenzione sociale che ha il mondo “borghese” verso i poveri e i disperati e nel mondo borghese includo anche quello politico. È sotto gli occhi di tutti che le istituzioni sono ben poco sensibili al fenomeno della povertà intesa nella sua ampia accezione e che il volontariato sia il solo asse portante per aiutare i più bisognosi. Questa situazione non fa che aumentare le disuguaglianze sociali dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E questo divario è aumentato rispetto al passato, anche rispetto all’epoca in cui è ambientato il mio romanzo. Poco è stato fatto per combattere la povertà nel corso degli ultimi 50 anni, in cui l’indifferenza, il pregiudizio e l’intolleranza hanno sempre troneggiato. È un triste primato questo, che per la legge dei grandi numeri può essere esteso all’atteggiamento dell’Occidente ricco e progredito verso quel Terzo Mondo dove ai bambini sono negate le cure mediche più essenziali, oltre a soffrire la fame. Questa non è retorica, è solo una considerazione che si basa su dati fatto: in tema di diritti il mondo intero è messo molto male e che dire, cambiando tema, dei diritti negati alle donne afgane? Questa società occidentale è sempre più ipocrita: l’intolleranza e l’indifferenza regnano sovrane, mentre la solidarietà umana è posta in un angolo. Credo che finché non saremo in grado di guardare in fondo al cuore chi sta peggio di noi, nulla o quasi potrà cambiare. Quando penso alla mia Elena, sofferente e ancora tuttavia speranzosa, penso a quanto quel mondo borghese la opprima, incapace di tenderle la mano. È quello che fa Beatrice, una vera eccezione di solidarietà, non influenzata dalla società in cui vive, che ne condanna l’indifferenza e l’intolleranza. Lei si avvicina a Elena, le tende la mano, la vuole aiutare. Ma Beatrice è una goccia nel mare, troppo poche sono le persone che si avvicinano ai bisognosi in questa società opportunista ed egoista. Queste ultime caratteristiche le incarna Filippo, fortemente influenzato invece dalla società in cui vive, impossessato dal pregiudizio. Chi legge il libro può notare come questo ragazzo si avvicini a Elena solo perché “trasformata” in ragazza borghese da Beatrice; è un amore della maschera, non della persona. Secondo voi, come si evolverà la storia di amore tra Filippo ed Elena? Riuscirà Filippo a vincere i suoi pregiudizi nei confronti di un mondo che non è il suo?”.

Quale dei personaggi, se c’è, è più affine alle tue corde e quale più distante? 

“Credo che si possa intuire da quanto ho detto prima, mi sento un po’ Beatrice e detesto la gente come Filippo. Aiutare gli altri dovrebbe essere un dovere morale; si potrebbe partire aiutando le persone che abbiamo vicino, sarebbe già un risultato importante”. 

In che modo utilizzi le vicende di Elena e Filippo per criticare la società e la natura umana?

“Come ho detto, con questo romanzo ho voluto lanciare dei messaggi forti su una tematica drammatica: possiamo etichettarlo come “libro denuncia”? Questo romanzo vorrebbe essere un monito a chi alza la bandiera dell’individualismo, perché a questo mondo siamo tutti figli dello stesso Dio”. 

La fragilità della vita e l’importanza della compassione sono, in chiusura, i due argomenti chiave su cui volevi sensibilizzare chi ti legge? 

“Assolutamente sì. Credo che sia compito di tutte le arti quello di evidenziare i problemi della società. In questo senso la letteratura ha un grande compito perché è mezzo di comunicazione. La comunicazione è fondamentale nella sensibilizzazione e, come nel mio caso, gli scrittori devono considerare quest’onere, avvertirlo proprio. Solo agendo si possono risolvere i problemi o, perlomeno, tentare di risolverli. Vorrei tanto che ci fossero al mondo più Beatrici e meno Filippi. Lo so, questa è utopia, ma io continuo a sperarlo. Grazie”. 

Condividi su:

Valuta questo articolo:
5/5

i più recenti

Con gli occhi di Maryna Kunaieva

di Marisa Iacopino In una società di immagini pervasive, in cui si è sommersi dalla comunicazione visiva, la pittura è

Articoli correlati