di Marisa Iacopino
Silhouette di figure che si stagliano in paesaggi astratti, arabeschi che incorniciano l’umano incedere, linee rette e forme che s’intersecano in geometrie architettoniche dalle molteplici cromie. Questo e tanto altro nell’arte di Jean Humbert Savoldelli pittore francese contemporaneo.
Dal nostro incontro, quest’intervista.
“Ho praticato la pittura a olio e lavorato sul trompe-l’oeil e l’affresco dipingendo fino al 2013 sui muri e su tela in uno stile iperrealista. In seguito, ho cambiato radicalmente stile, abbandonato il muro in favore della tela, i pennelli in favore dei coltelli, l’iperrealismo a favore dell’astrazione. Nel 2015 ho aperto il mio laboratorio-galleria a Cahors, “La Grange du Clos Jeanine” I temi dei dipinti sono diversificati. Gli astratti in cui vagano sagome umane rimangono il mio soggetto preferito. mi diverto con le “serie” come “Cariocas”, “Les Sylvies”, le “Géometrics” introducendo nuovi elementi che trasportano lo spettatore in un mondo ogni volta leggermente diverso”.
Com’è nato in te l’interesse per l’arte pittorica e quando?
“Disegnare e dipingere mi ha sedotto dalla fine dell’adolescenza, e ho scelto il muro per esprimermi. Non il muro come lo intendiamo oggi con la “Street Art” che usa molto spesso vernice spray, ma qualcosa di più privato, intimo. il muro di aziende, di alberghi… Diciamo che era più a scopo decorativo, e questo è ciò che mi ha naturalmente indirizzato verso il trompe-l’oeil, spingendomi nel 1995 a intraprendere una formazione”.
Nel cognome Savoldelli un’origine italiana? Il nostro Paese e il suo consistente patrimonio artistico ti hanno formato/influenzato?
“Sì, i miei genitori erano entrambi italiani prima di venire in Francia ed essere naturalizzati francesi. Per quanto riguarda l’influenza, sono sempre stato attratto dalla pittura italiana del Medioevo, dalla tecnica più che dai soggetti dipinti. E poi, il chiaroscuro evidenziato da Caravaggio, che conferisce ai dipinti un realismo incredibile che non può che affascinare lo spettatore, soprattutto quando è pittore”.
Tu affermi: “Dipingere è una lotta fino a che la tela non è completata. Firmarla, significa vincere la lotta.” Verso chi è rivolta questa lotta?
“Verso me stesso, verso la scommessa che mi pongo ogni volta, l’impertinenza che dimostro quando mi lancio su una tela bianca, osando senza aver pianificato nulla. Nell’universo pittorico da cui provengo, il trompe-l’oeil, tutto è calcolato, stabilito prima di iniziare la creazione su muro o su tela. Oggi, invece, quando inizio un quadro, è la voglia di dipingere che mi spinge, il desiderio di usare questo o quel colore, ma non so dove andrò. Io sono il mio spettatore, ogni colpo di coltello, ogni sfumatura, porta un altro colpo di coltello e un’altra sfumatura. Mi evolvo contemporaneamente all’opera che nasce. So che alla fine la lotta sarà finita… e firmerò il dipinto. Una volta firmato, non mi appartiene più, e quando ho l’opportunità di discutere con uno spettatore, il piacere più grande è scoprire che lui vede qualcosa che non pensavo di avere dipinto… ciò che conta è quello che lui vede e sente, non quello che volevo dire io. Una magia, un miracolo che si rinnova”.
Che cosa ti stava stretto nell’iperrealismo? Togliere oggettività è significato aggiungere soggettività?
“Il mio attuale lavoro artistico mi ha portato una libertà insospettata. Avevo imparato a dipingere con le regole, con il fatto che qualsiasi spettatore può essere il tuo giudice. Con l’astratto queste nozioni sono scomparse, cerco di trasmettere emozioni e non cose. Le interpretazioni sulla mia pittura saranno diverse a seconda degli spettatori, i loro commenti più radicali: “Mi piace”, o “Non mi piace”. Il pittore non viene quasi messo in discussione, mentre nell’iperrealismo al minimo errore il commento è tagliente. Mi sento quindi più libero, più intuito che visto. Poco si dice, molte cose devono essere indovinate o addirittura inventate”.
La geometria in linee, forme e colori costituisce, nella tua attuale opera artistica, un linguaggio visivo ben preciso. Quali, gli artisti di riferimento del passato movimento astrattista?
“Se ti riferisci alla serie “Géometrics” è un’esplorazione come lo sono tutte le mie serie: prendo una nuova direzione e provo; quello che non è stato possibile testare sulla prima tela, verrà testato sulla seconda, e così via… fino alla fine della serie. Il che vorrà dire che sono stanco e voglio esplorare qualcos’altro. Non ho artisti di riferimento, ma i miei spettatori a volte sì… Mondrian è molto citato, come lo sarà ogni volta che sarà dipinto un rettangolo colorato bordato con linee nere…”.
“Il seminatore”, figura su pertica o trampoli, ricorda un profeta che semina il suo pensiero, presago in un mondo postindustriale e di cloni. E’ possibile leggere tutto questo?
(ride) “E’ il tuo commento, e va bene. L’arte è una salvezza attraverso il sogno che porta, attraverso la fuga che permette, l’apertura mentale che può dare o rafforzare. Voglio che le mie tele siano un supporto per sognare ad occhi aperti. Può essere un supporto malinconico, poetico, diverso a seconda di chi guarda il dipinto. Je suis un relais pas un conteur (*)”.
Quali sono i tuoi attrezzi del mestiere?
“Lavoro prevalentemente con il coltello, perché utilizzandolo ottengo effetti particolari: maneggevolezza, può essere preciso come il pennello ma meno impegnativo, e mi sorprende sempre con il suo potenziale creativo. La tela mi sta benissimo, ha un vantaggio sulla parete: puoi girarla!”.
Hai progetti di cui vuoi renderci partecipi?
“Una mostra qua, una là, ma il mio desiderio riguardo alla pittura sarebbe davvero quello di far conoscere il mio laboratorio in galleria dove le persone possano tranquillamente guardare un gran numero di dipinti. Lo scambio tra l’artista e il visitatore resta per me un momento privilegiato. Allora, se vedi gente… di’ loro di venire, li aspetto!”.
*Sono un ponte, non un narratore