Maria Grazia Garofoli si forma presso l’Accademia Nazionale della Danza, fino al conseguimento del diploma e perfezionamento finale.
Lavora presso i più importanti teatri italiani e stranieri, anche se considera La Fenice di Venezia e l’Arena di Verona le sue dimore artistiche, dove esordisce riscuotendo i primi successi accanto alle prestigiose personalità del mondo dell’arte
Signora Garofoli, un piacere incontrarla. Ripercorriamo per i nostri lettori i suoi esordi nella Danza…
“Penso sia molto difficile stabilire il momento o il periodo della mia vita in cui ho deciso che la danza fosse il mio futuro, direi piuttosto che ho sempre avvertito che quella fosse la mia strada. Non è stato un sacrificio ma un grande dono che la vita mi ha concesso”.
Quando ha capito la sua strada nel mondo della Danza?
“Ricordo le lunghe ore di prove, la bellezza di uscire dalla sala stanca ma con il piacere di aver dato un senso alla mia vita e ad accogliermi e rinfrancarmi c’era sempre Venezia, con il suo immutabile abbraccio”.
Una carriera meravigliosa nei più grandi Teatri fino al titolo di Etoile al Teatro La Fenice di Venezia. Cosa ricorda di quegli anni?
“Ricordo i miei amici e colleghi, ricordo il calore della mia casa e il prosecco che aiutava a superare i momenti di crisi. L’emozione dell’andare in scena che scandiva la mia vita”.
Lei è una grande soprattutto nel repertorio cosiddetto “romantico” e tra i suoi cavalli di battaglia c’è il ruolo di Giselle. Come si è avvicinata questo ruolo?
“Mi sono avvicinata ai ruoli romantici in maniera naturale perché appartenevano al mio essere e forse in questo senso la mia fisicità mi aiutava. Amavo molto anche i ruoli intensi come Giulietta, Francesca da Rimini, Carmen Nel caso di Giselle è stato il mio maestro Poliakovche mi ha condotto per mano fino ad una identificazione nel ruolo quasi totale”.
Lei è stata allieva del grande Maestro Polyakov, troppo poco ricordato. Ci racconti di lui e di quanto abbia influito nella sua carriera…
“Per me Poliakov, è stato un maestro, un amico, un pigmalione. Appartiene ad un periodo indimenticabile della mia vita, forse quegli anni vissuti a Venezia, già naturalmente teatro di rara bellezza, sono tra i più belli della mia vita”.
Lei ha danzato con i più grandi ballerini e tra questi il mitico Rudolph Nureyev. Cosa ricorda di quella esperienza?
“A dire il vero è stata un’esperienza molto interessante, danzare accanto ad un mostro sacro e costare che avesse gli stessi dubbi le stesse paure lo ha reso hai miei occhi più vicino, più compagno in questo lungo viaggio alla ricerca della perfezione che purtroppo non si raggiunge mai ma sembra sempre di sfiorarla con la punta delle dita”.
Poi l’arrivo alla Fondazione Arena di Verona di cui è stata Direttore del Ballo per oltre 13 anni…
“Essere direttore per molti anni della Fondazione Arena è stato poter danzare ancora attraverso i miei ballerini, la gioia assoluta di sentirli partecipi a questo grande gioco che la danza sa tessere dentro di noi. Certamente c’erano anche le asperità che un ruolo di comando genera ma le ho sempre vissute più da collega che da capo se mi si permette questa espressione e forse ha funzionato”.
Questo inverno sarà in scena la sua versione del celebre balletto “Lo Schiaccianoci” in quattro differenti teatri. Si sta già preparando a questo progetto?
“Assolutamente sì! Per un titolo di repertorio ci si prepara tempo prima e a breve comincerò le prove con la Romae Capitale Ballet con la quale collaboro da anni. Verrà rappresentato al Teatro di Pagani, al Manzoni di Roma e al Goldoni di Livorno. Sarà una versione nuova in cui farò vivere la magia della notte di Natale agli spettatori”.
Cosa si augura per la Danza del domani?
“Che la danza, così ingiustamente emarginata, rioccupi il posto che le aspetta di diritto nel mondo dell’arte: la danza non è solo divertimento, la danza è cultura”.
Cosa è per lei la Danza?
“La danza per me è un modo per vivere meglio e un rifugio e il mio respiro e l ‘amica e l’amante che non mi ha mai tradito. Non riesco a leggere la mia vita senza di lei, è un senso di appartenenza che non si esprime con le parole ma si vive solo con i sentimenti. Forse è troppo, non lo so, ma non si deve dire la verità nelle interviste?”.
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