Storie di Radio – Antonio De Robertis: Il sogno radiofonico diventato realtà

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di Silvia Giansanti

La radio era il suo pallino sin da giovanissimo e grazie alla sua determinazione e bravura è riuscito a ritagliarsi un ruolo importante – e apprezzato – nell’etere italiano

 

Il nostro viaggio prettamente radiofonico continua senza soste, andando a rievocare passati gloriosi, attraverso personaggi che hanno fatto la storia del mezzo di comunicazione più affascinante che esista. Molti come Antonio De Robertis, hanno iniziato il loro percorso di successo proprio dalla radio. Lui, al contrario della maggior parte dei grandi nomi intervistati, aveva già da giovanissimo il pallino di lavorarci. E’ approdato tramite un concorso della Rai in un’epoca lontana dai giorni nostri, dove se sbagliavi un accento, eri massacrato… Il bello di Antonio è che ha conservato intatto il suo timbro vocale e ha ancora lo stesso spirito di allora nello svolgere mansioni nel campo artistico. La nostra memoria non può che andare ai tempi di “Supersonic” o del “Calderone”. Autore e conduttore, negli anni ha potuto sviluppare capacità notevoli.

Antonio, come avvenne l’aggancio con il mezzo radiofonico?

“Partecipai ad una serie di selezioni e fui ammesso con altri 36 candidati al corso di formazione Rai. Ricordo otto ore di aula al giorno per tre mesi e mezzo a Firenze nel centro di formazione appunto C’era tutto quello che serviva; lingue, fonetica, dizione, improvvisazione ecc. Dopo alcuni provini, avvenne una scrematura e rimanemmo in 17. Fui ammesso al corso con il punteggio più alto, arrivando così secondo, dopo Alberto Lori. Dopodiché fummo assunti”.

Ci sai dire con precisione la data esatta in cui andasti in onda per la prima volta?

“21 gennaio del 1969”.

I ricordi che custodisci nel cuore degli inizi.

“Ce ne sono tantissimi, è una parola”.

Qualcosa di saliente?

“Ricordo l’approccio con i colleghi più anziani che mi aiutarono molto. Un conto è fare un corso e l’altro è andare in onda in diretta, ai tempi del monopolio. Ebbi un impatto fantastico con un mondo affascinante che sognavo fin dai tempi della scuola. A casa ascoltavo la radio e ne conoscevo le voci, i nomi e i programmi, insomma ero proprio appassionato, per non dire un malato di radio. A pensare che risposi per caso ad un annuncio anonimo dove cercavano voci microfoniche e siccome facevo teatro, provai e infatti mi arrivò in breve tempo una lettera della Rai. Ho avuto la fortuna di svolgere il lavoro che desideravo da piccolo, ancor di più formato da quella che era la seconda azienda culturale d’Europa, dopo la BBC”.

Oltre a condurre programmi, quanti ne hai firmati?

“Ben 23.

Cosa provi nel riascoltare la tua voce di quei tempi?

“Mi fa piacere, anche perché non è cambiata molto. Non provo particolare nostalgia”.

La radio ha fatto da apripista a nuove esperienze.

“Sì, arrivò anche la tv sempre in Rai con delle soddisfazioni”.

Fino a quando hai fatto radio?

“Ho compiuto vent’anni di radio e al ventesimo anno preferii cambiare direzione. Ricordo che nel 2000 Paolo De Andreis mi chiamò a lavorare al varietà come autore, per poi approdare a ‘Uno Mattina’, facendo l’autore tv dal 2005 fino al 2015”.

Sei in pensione attualmente?

“Sono un pensionato iperattivo, prestandomi nel mondo dello spettacolo Ho addirittura sviluppato competenze nella sceneggiatura e nel montaggio. Sto scrivendo un libro sulla storia della radio e ho appena terminato di scrivere un saggio. Oltre alla scrittura, faccio il social media manager per un paio di persone. Sono anche consulente per la comunicazione per una società cha ha un sito web che realizza progetti in ambito farmaceutico sanitario”.

Sei ancora un ascoltatore della radio?

“Sì, per un motivo in particolare perché mia figlia Cecilia è programmista regista su Radio Due. Anche lei è cresciuta con il culto della radio. Ha iniziato a lavorare sotto il direttore Sergio Valzania nel programma ‘Il Cammello di Radio Due’ come assistente. Comunque penso che la radio di oggi valga un decimo della radio di una volta. Basta prendere un Radiocorriere tv degli anni ’80 e costatare l’offerta di programmi rispetto a quelli di oggi. Noi parlavamo agli ascoltatori, senza vivere del loro contributo in maniera sistematica come si fa oggi. Inoltre la visual, secondo me, ha rovinato la magia della radio, composta da voci e immaginazione”.

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