Alessia D’Amato: “La mia gabbia d’oro”

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di Donatella Zaccagnini Romito

“Mi chiamo Alessia D’Amato, sono nata nel 1996 nel cuore del Cilento, ma oggi vivo a Torino. Lo sport è sempre stato parte di me: apnea, bodybuilding, movimento in ogni forma. Per questo ho scelto di studiare, formarmi in più accademie e ottenere due diplomi che mi hanno permesso di fare della mia passione un lavoro. Sono una personal trainer specializzata nell’allenamento femminile e anche insegnante di flexibility. Credo profondamente che il corpo abbia un linguaggio tutto suo. E in certi momenti della mia vita, il movimento è stato l’unica voce che avevo.Ne parlo anche in questo libro, perché è stato parte fondamentale della mia rinascita. Scrivere è sempre stato il mio rifugio, ma anche il mio modo per dirmi la verità quando non riuscivo più ad ascoltarmi. Oltre ai miei progetti personali come content creator, insieme al mio compagno ci occupiamo della gestione completa di Bootyque: sia della parte social, sia delle due sedi fisiche — una a Torino e una in provincia. Bootyque è più di un centro fitness: è uno spazio dove le donne ritrovano forza, identità e consapevolezza. E ogni giorno, in presenza o online, provo a fare la differenza — dentro e fuori le gabbie invisibili che ci portiamo addosso”.

Com’è nato il tuo libro? Ci sono state persone che ti hanno aiutata o a cui ti sei ispirata?

“’La mia gabbia d’oro’ è nato in silenzio, in un momento della mia vita in cui tutto sembrava perfetto… tranne me. È stato un atto spontaneo, istintivo, necessario. Non l’ho scritto pensando a un lettore, ma per sopravvivere io. Poi, rileggendolo, ho capito che non parlava solo di me. Le persone che mi hanno “aiutata” sono state, in qualche modo, quelle che hanno contribuito a farmi sentire intrappolata. E proprio per questo, inconsapevolmente, mi hanno spinto a liberarmi”.

Nel libro si parla della storia di una donna intrappolata in una prigione invisibile, senza sbarre o catene, ma costruita da convinzioni e paure, in un mondo dove il luccichio dell’oro nasconde il peso dell’anima… è un invito a guardare oltre le barriere invisibili e a riscoprire la forza interiore? In che modo?

“Sì, è proprio questo. Ho scritto questo libro partendo da una consapevolezza: la gabbia più difficile da lasciare è quella che sembra bella. Quella che luccica. Quella che tutti ti invidiano. Ma che dentro ti toglie il respiro. È un invito a guardare dentro quelle zone d’ombra che spesso ignoriamo per non sconvolgere l’equilibrio apparente. A riscoprire che la libertà non è qualcosa che si trova fuori, ma qualcosa che si decide, anche tremando”.

Chi dovrebbe leggere il libro e perché?

“Chiunque abbia mai finto che andasse tutto bene. Chi si è sentita amata, ma mai vista. Chi ha detto “sì” quando voleva dire “basta”. ‘La mia gabbia d’oro’ è per tutte le donne — ma non solo — che hanno sentito il peso dell’apparenza e la mancanza di autenticità. È un libro che non ti dà risposte, ma ti fa porre domande potenti. E se una di queste ti tocca… allora questo libro ti servirà”.

Progetti e programmi per il futuro?

“Ho ancora molto da scrivere, ma soprattutto molto da vivere. Dopo ‘La mia gabbia d’oro’, sto lavorando a qualcosa di ancora più personale, ma anche più universale. Un progetto che unisce corpo, parola e identità. Nel frattempo, continuo il mio lavoro come coach e personal trainer al femminile, portando la mia esperienza anche fuori dalle pagine. Perché ogni percorso di rinascita non si conclude con l’ultima riga di un libro. Anzi, spesso… inizia proprio lì”.

C’è un episodio particolare del libro a cui sei molto legata e perché?

“Sì, il momento che più mi appartiene è sicuramente il capitolo dedicato al mare, Il mio posto sicuro: il mare. È il terzultimo del libro, ma per me è come se fosse un punto di svolta silenzioso, ma potentissimo. In quelle pagine affido i miei pensieri al mare, come facevo davvero ogni giorno in quel periodo. È lì che ho iniziato a vedermi per davvero. Il mare mi ha ascoltata senza giudicare, senza interrompere, senza cercare di aggiustare nulla. Il sale ha fatto male, ma mi ha anche guarita. Quel capitolo è il mio spazio sacro — il punto in cui ho capito che stavo uscendo dalla mia gabbia, anche se ancora non sapevo dove mi avrebbe portata quella libertà”.

Il romanzo tratta anche temi attuali, come il controllo emotivo, le aspettative sociali, il ruolo della donna. Era tua intenzione lanciare un messaggio preciso?

“Non ho scritto per dare un messaggio, ho scritto per sopravvivere. Ma rileggendolo a distanza di tempo, mi accorgo che La mia gabbia d’oro parla di tutte noi. Di quante volte ci adattiamo, resistiamo, fingiamo. E lo facciamo spesso per amore, per educazione, per dovere, per non disturbare. Nel libro c’è una denuncia silenziosa al peso delle aspettative, alla normalizzazione del dolore femminile, a tutto ciò che ci viene fatto credere “giusto”. Se un messaggio esiste, è questo: non è normale soffrire in silenzio. Non è forza annullarsi. E non è amore restare dove si muore lentamente”.

Prova a riassumere il senso del libro con una singola frase che hai scritto e che è contenuta all’interno del libro

“’Il sale ha bruciato tanto sulle mie ferite, ma adesso riguardare le mie cicatrici è solo un immenso piacere’. Questa frase, scritta proprio nel capitolo sul mare, racchiude perfettamente il senso del libro: guardare in faccia il dolore, attraversarlo, e un giorno riuscire persino a ringraziarlo. Non perché sia stato giusto… ma perché ci ha rese libere”.

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