di Francesca Ghezzani
Nel cuore di Napoli Est, tra ronde notturne, clan camorristici e poliziotti disillusi, prende vita la trama di “Indian Napoli”, il nuovo romanzo di Al Gallo per la collana “Giungla Gialla” di Mursia. Un noir contemporaneo che ha il coraggio di mostrare chi vive “dalla parte sbagliata della barricata” senza fare sconti, in una Napoli protagonista e non certo relegata al ruolo di sfondo.
Al, Indian Napoli ritrae una Napoli periferica cruda, spietata ma anche profondamente umana. Quanto c’è di reale nelle dinamiche di quartiere e quanto è frutto di finzione narrativa?
“Quello che racconto è un compromesso, tra realtà e fantasia. Laddove, alcuni eventi non sembrano altrimenti spiegabili, cerco di trovare una soluzione che sia realistica, ma anche narrativa per così dire”.
Cosa significano per te gli “indiani” della città?
“La città, Napoli, sembra divisa in zone, in sfere di influenza come l’America precolombiana: ognuno gestisce un pezzettino di questo mosaico; ognuno si sente padrone, indiano di quel posto, per così dire”.
Il rapporto tra Ajello e Romano è centrale: due poliziotti agli antipodi, costretti a collaborare. Come hai costruito la loro dinamica e cosa rappresentano, secondo te, nel contesto della Napoli di oggi?
“Sono appunto spiriti opposti, forse, estremi. E ben rappresentano l’anima di questa folle città: estrema in tutto, nel bene e nel male. Volevo che il loro rapporto fosse stridente, e quindi ho calcato la mano nel descriverli. Un cane e un gatto costretti a coabitare su una zattera, insomma”.
Parliamo di Lisa Acone, un personaggio ambiguo, vittima e carnefice allo stesso tempo. Cosa ti interessava raccontare attraverso di lei? Ovvero, che ruolo ha per te la figura femminile in questo mondo spietato?
“Lisa è un’anti-eroina. Volevo raccontare attraverso le sue vicende una trasformazione in negativo. Quando certi fatti ti corrodono dentro, forse è più facile diventare l’antitesi di ciò che sei; la sua parabola esistenziale nella storia è funzionale a una mia idea: spesso, di fronte a un bivio, la scelta più giusta è anche la più difficile, e non tutti riescono a farla”.
Lo stile del romanzo mescola noir, cronaca e ironia amara, con una lingua viva e spesso ruvida. Per concludere, hai avuto modelli o ispirazioni letterarie per questo tono e per l’impostazione narrativa?
“La ricerca della prosa giusta è sempre molto ardua. Ho cercato di dare voce a ognuno dei personaggi basandomi sul loro carattere. Qui da noi si dice: «I figli sono figli fin tanto che li tieni in braccio». Ecco, i personaggi sono tuoi fin tanto che non li inchiodi sulla carta. La mia ispirazione resta ancorata a Raymond Chandler e al suo personaggio iconico, Marlowe. Un uomo conflittuale che a modo suo fa la ‘cosa giusta’”.