di Paolo Paolacci
Marco Campedelli vive e lavora vicino a Verona. La sua arte attraversa calligrafia, scrittura visiva, grafica, pittura. Ha esposto in Italia e all’estero. Le sue opere nascono dal gesto e resistono nel bianco. È rappresentato da Bridgeman Images.
“Sono un artista visivo, un grafico, un artigiano del segno. Da quasi trent’anni lavoro su carta, con inchiostro, con il bianco e con il nero. Non cerco l’opera perfetta, cerco quella necessaria”.
In questa intervista volutamente provocatoria, c’è molta di quella necessità che abbiamo di essere veri e sinceri, dove un gesto vale più di mille parole. A volte.
Marco, presentati.
“Mi chiamo Marco Campedelli. Scrivo senza penna, parlo senza voce, racconto senza dover spiegare. Sono un artista visivo, un grafico, un artigiano del segno. Da quasi trent’anni lavoro su carta, con inchiostro, con il bianco e con il nero. Non cerco l’opera perfetta, cerco quella necessaria. Non mi interessa l’estetica che piace: mi interessa quella che resta. Le mie mani sanno prima della mia testa. E il mio lavoro accade tutto lì, dove il controllo finisce e comincia il gesto”.
In quale silenzio si nasconde la luna?
“Nel silenzio dopo un gesto netto. In quello che resta dopo aver scelto. La luna si nasconde dove non ci sono più domande da fare, solo luce da contenere”.
Quali sono i perché inderogabili di ogni persona?
“Avere uno spazio dove non si deve spiegare niente. Essere visti, anche nei giorni invisibili. Lasciare nel mondo un segno — piccolo, ma autentico — che dica: ‘Io sono passato, di qui’”.
Perché dipingere?
“Perché non so mentire con le mani. Perché il pennello non ha bisogno di permesso. Perché il gesto, se lo lasci libero, racconta quello che non hai avuto il coraggio di dire ad alta voce”.
Quale tangenziale preferisci?
“Quella che taglia la città come una frase interrotta. La tangenziale è il contrario del centro: è il margine, ed è nei margini che si incontrano i vivi. Preferisco quella che non porta da nessuna parte, ma ti costringe a pensare”.
È meglio uscire o entrare, in generale?
“Meglio entrare dove nessuno ti aspetta. Meglio uscire quando ti hanno già etichettato. Meglio stare al confine, a costruire porte nuove”.
Abbiamo la possibilità di sognare: cosa facciamo?
“Smettiamo di rincorrere la perfezione. Sogniamo con lentezza, con rabbia buona, con cura. Sogniamo stanze vuote e giornate piene. Sogniamo qualcosa che non serva a niente, ma ci somigli davvero, autenticamente”.
Possiamo fare tutto: cosa sogniamo?
“Sogniamo meno cose, ma più vere. Un laboratorio silenzioso, una finestra aperta, carta ruvida, un’idea che ti guarda e non molla. Sogniamo di essere rari, non famosi”.
La diversità è contro il tutti uguali: tu come sei?
“Sono sbilenco, ma tengo. Sono fuori norma e fuori formato. Ogni opera mia è un pezzo unico, ma non perché lo decido io: perché è impossibile rifarla due volte uguale. Non ho un’identità fissa, ho un’identità in corso”.
Hai poco spazio a disposizione per salutare, fatto?
“Fatto. Non saluto. Lascio un segno. Va bene?”.
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