di Francesca Ghezzani
Cosa rimane di una giovane donna quando la sua casa brucia, il suo titolo nobiliare si svuota e il futuro sembra ridursi a un matrimonio imposto? In “Cuorespina” (Affiori, 2025), Martina Melgazzi narra la storia di Fiore, contessina colta, ironica, insofferente ai ruoli imposti, che si ritrova catapultata in un paesino per ricostruire la propria vita… o lasciarla nelle mani degli altri. Tra pagine taglienti e altre commoventi, il romanzo esplora i legami familiari, la costruzione dell’identità femminile e i compromessi tra sopravvivenza e dignità.
Martina, hai ambientato gran parte del libro in un luogo inventato, Bosconovo, ma estremamente realistico. Come nasce questo paese e perché hai scelto di non collocare la storia in una località realmente esistente?
“Bosconovo è nato da un bisogno: quello di costruire uno spazio che fosse interamente a misura della storia che volevo raccontare. Non mi interessava ambientare il romanzo in un luogo già carico di senso o legato a una geografia ufficiale. Volevo un paese che sembrasse vero, ma che non appartenesse a nessuna mappa. Un luogo che potesse contenere le tensioni, i silenzi e le regole invisibili che muovono i personaggi. Mi sono ispirata a molti paesini dell’entroterra veronese, tra montagna e fiume, e ho cercato di restituire un’atmosfera credibile dal punto di vista storico e sociale. Ma Bosconovo, per me, è soprattutto uno spazio interiore. È il luogo in cui tutto si contrae: le possibilità, le parole, il tempo. Una gabbia che rassicura e stringe allo stesso tempo”.
La cultura e la lettura sono dei “salvavita” per Fiore. Che ruolo ha avuto la letteratura nella tua crescita personale?
“La letteratura è stata per me più di una compagnia: è stata una bussola, una piattaforma di lancio e un rifugio, tutto insieme. Da bambina, ricordo di aver trovato nei libri un territorio aperto dove provare altre emozioni, ascoltare altre voci e, soprattutto, imparare a mettere insieme parole che potessero raccontare una verità personale, anche quando non c’era ancora niente da raccontare. Ero affascinata da quelle scritture che sembravano sospese tra dolore e bellezza, perché mi davano la misura di cosa significa stare al mondo con fragilità e desiderio. Negli anni, leggere mi ha insegnato la forma del pensiero e della resistenza. I racconti di donne che si muovono tra le crepe della storia, che cercano uno spazio anche dove sembra non esserci, mi hanno fatto capire che anche le voci più intime hanno un peso”.
Il tuo stile alterna passaggi dal forte impatto visivo a riflessioni interiori dal ritmo serrato. Se ci sono, quali sono state le tue principali influenze narrative o artistiche?
“Le influenze sono tante, ma mai imitate. Non ho cercato di rifarmi a un modello preciso mentre scrivevo ‘Cuorespina’, però è inevitabile che certe letture e visioni ti abitino, ti formino, ti insegnino un ritmo, un taglio, un tono. Sicuramente amo le scritture dense, visive, dove l’atmosfera è un personaggio a sé. Penso a L’amica geniale di Elena Ferrante, a La strada di McCarthy, ma anche ad autrici come Lauren Groff o Margaret Atwood, che riescono a rendere fisico il pensiero. Mi hanno influenzata anche le opere che riescono a tenere insieme brutalità e bellezza, corpo e voce: da ‘L’eleganza del riccio’ a ‘Il dio delle piccole cose’, da Shirley Jackson fino a certi manga come ‘Nana’ o ‘L’immortale’. Porto nel cuore anche Coraline di Neil Gaiman: è uno dei libri che ho riletto più volte, forse perché riesce a catturare un’atmosfera inquietante e avventurosa che mi affascina ogni volta. La storia di Coraline, una bambina che scopre una versione alternativa e oscura della propria casa e dei suoi genitori, è una sorta di fiaba dark e cruda che non perde mai il suo potere di attrarmi”.
Come hai lavorato alla costruzione dei personaggi?
“Lavorare alla costruzione dei personaggi in ‘Cuorespina’ è stato un atto di equilibrismo: unire autenticità psicologica, tensione narrativa e coerenza storica. Non sono entrata in scena come una narratrice onnipotente, ma come una testimone che osserva, annusa contraddizioni, lascia entrare il dubbio. Ogni personaggio nasce dal desiderio di raccontare un frammento di mondo, una voce che porta in sé tensioni personali e collettive. Fiore è emersa prima come sensazione, poi come parola. La sua voce non è stata costruita a tavolino, è scoppiata: è fatta di precisazioni feroci, di battute ironiche, di silenzi che dicono più di mille parole. Volevo che non fosse perfetta, che fosse attraversata dal desiderio ma anche dall’errore, dal rimorso, dalla stanchezza. Che camminasse su una linea sottile tra consapevolezza e follia. Quanto agli altri – da Cosimo a Violante, da Celeste a don Miglio – ho cercato il contrasto: figure che riflettessero parti di Fiore o del suo mondo, ma anche che lo contaminassero. Ognuno ha una geometria emotiva precisa: un retaggio di famiglia, un’emorragia segreta, una forma di resistenza”.
L’universo femminile che descrivi è pieno di tensioni sotterranee, gelosie, alleanze e silenzi. La vera sorellanza è per te solo un concetto idealizzato?
“Credo che la sorellanza esista, ma non sia mai semplice. Non è una categoria pura o una condizione automatica che si attiva tra donne solo perché condividono un genere. È una costruzione lenta, faticosa, che passa attraverso la disillusione, la rabbia, l’invidia, la delusione, e che può anche non realizzarsi mai. In ‘Cuorespina’ ho voluto raccontare un universo femminile reale, stratificato, pieno di crepe, dove le relazioni tra donne sono spesso segnate da una competizione non scelta, ma appresa. Fiore non trova facilmente alleate: è cresciuta in un mondo che le ha insegnato a temere o a diffidare delle altre. Ma proprio in questo terreno difficile, pieno di macerie e sospetti, può nascere qualcosa di autentico: un gesto, un’intesa, una vicinanza che non ha bisogno di essere perfetta per essere vera. Non credo nella sorellanza come ideale privo di conflitto. Credo nella sorellanza che sopravvive attraverso il conflitto. Quella che nasce quando si riconosce la fatica dell’altra, anche se si è diverse, anche se si è ferite. Nel romanzo ci sono momenti in cui questa forma di riconoscimento avviene, spesso in modo impercettibile, silenzioso, ma proprio per questo potente. E ci sono anche fallimenti, tradimenti, incomprensioni. Per me la sorellanza è questo: non una promessa, ma una possibilità”.
In chiusura, “Cuorespina” tornerà dai suoi lettori e dalle sue lettrici o, magari, stai già lavorando ad altro?
“’Cuorespina’ non è nato per avere un seguito, ma a un certo punto ho sentito che c’era una storia precedente che premeva. Una storia sommersa, radicata nel passato di Bosconovo, che aspettava di essere raccontata. Così è nato ‘Malfatta’, il romanzo a cui sto lavorando ora. Non si tratta di un vero prequel nel senso tradizionale: è un romanzo autonomo, ma strettamente legato. Torneranno alcuni nomi, alcune famiglie, certe ferite antiche che in ‘Cuorespina’ si intravvedevano soltanto. E soprattutto, ci sarà un’altra protagonista, Costanza, con una voce molto diversa da quella di Fiore, ma altrettanto feroce nel reclamare spazio”.


