di Marisa Iacopino
Pagine che inseguono la Bellezza. Bellezza nell’eredità artistica dei luoghi che più hanno contato nella sua vita: Roma, città di nascita e di fortunati ritorni; la penisola Sorrentina della giovinezza; Napoli, prezioso scrigno di saperi antichi che dà l’avvio alla sua esperienza professionale e umana. E ancora, la bellezza tra le pieghe dell’umanità, illustre o sconosciuta, incontrata nelle sale degli ospedali dove per anni ha prestato le cure come dottore in cardiologia. Tutto questo dispiega con precisione ‘chirurgica’ e dovizia di particolari Fabio Biferali nel suo memoir “Bloccato dal bel tempo “, Edizioni Efesto.
Cosa possiamo dire del titolo?
“’Bloccato dal bel tempo’ è la frase di un aneddoto che troviamo all’interno del libro. Ma lasciamo la curiosità a chi vorrà leggermi!”.
Un memoir è una narrazione che racconta esperienze personali alla luce di una memoria emotiva. E’ così?
“E’ la mia storia che incontra la Storia dell’Italia – ci sono episodi di momenti anche tragici del nostro Paese. E poi, l’occasione per parlare di luoghi che ho molto amato. Napoli, città contraddittoria di bellezza e drammi. Roma, dove ho conosciuto personaggi e intellettuali che gravitavano intorno al centro storico, facendo io il medico all’ospedale San Giacomo. Tanti ricordi di una vita professionale che danno spazio a riflessioni di natura sociologica, culturale, affettiva”.
Ha anche curato una rubrica in una trasmissione radiofonica, una contaminazione tra arte e scienza…
“Sì, assieme a un amico editore ho curato per Radio Città Futura, un’emittente romana, un angolo di medicina letteraria, o letteratura medica. Uno Scrittore, nello scrivere un romanzo che tratta di argomenti medici, si documenta scientificamente e poi mette al centro del racconto l’uomo: la sua sofferenza, la perdita del ruolo sociale, degli affetti; s’interroga sul senso della vita, della sua fugacità, del pensiero angoscioso della morte. Ho ripercorso l’esperienza letteraria di ‘Memorie di Adriano’, dove la Yourcenar descrive lo scompenso cardiaco meglio di un medico, raccontando di Adriano malato, di tutto quello che sta per perdere. Cose che un medico non può percepire. Oppure ‘Malato d’inverno’ di Moravia che parla di un malato di tubercolosi. E ancora ho analizzato ‘La montagna incantata’, anzi ‘La montagna magica’, come si chiamava nell’edizione di Pietro Citati. C’è una lettera di Thomas Mann indirizzata a un medico, Rosenthal, per farsi descrivere gli attacchi epilettici. La radio è stata un’esperienza breve ma straordinaria, un modo di comunicare e stare vicino alla gente”.
Il libro si avvale di una prefatrice d’eccezione, Edith Bruck. Ci racconta del vostro incontro?
“Edith Bruck, scrittrice, poetessa, regista di grande personalità e sensibilità, forgiata anche dalle sofferenze della Shoah. L’ho incontrata come paziente, poi siamo diventati amici. E’ grazie a lei che ho aperto la mia casa a un salotto letterario all’inizio degli anni 2000. L’esordio fu proprio in occasione della presentazione del suo libro l’Amore offeso; da allora ho ospitato numerosi artisti, letterati, musicisti, politici che avevo avuto l’occasione di conoscere, personaggi di grande caratura di un’epoca irripetibile. Il Covid interruppe questa ricorrenza”.
Da medico, come ha vissuto quella esperienza?
2Sono stato il primo medico a Roma che si è ammalato prima del lockdown. Proprio durante questa esperienza, mi sono seduto a un tavolo a scrivere, anche per esorcizzare, allontanare da me quel pensiero. Allo stesso tempo, è stato un racconto terapeutico. Aver trovato all’interno della mia biografia tanti ricordi è stato importante”.
Il sottotitolo del libro recita: “Memoir di un medico perplesso”. Perché questa perplessità?
“Perplesso non per dire insicuro o esitante, ma dubbioso. Ecco, il dubbio è alla base della conoscenza, è qualcosa di eccitante, di estremamente dinamico che ti spinge a conoscere; più conosci e più hai dubbi”.
Fin dall’ingresso nel mondo clinico come giovane cardiologo, sosteneva che “i malati sono i nostri maestri, occorre ascoltarli”. Non pensa che oggi i medici curino la patologia ignorando la persona?”
“La cultura anglosassone, estremamente pragmatica, ha imposto una medicina fondata sulle evidenze scientifiche, scalzando la medicina osservazionale in cui il rapporto umano veniva prima di tutto. Questa è una evoluzione negativa. Il paziente non lo curi più dal punto di vista personale, ma attraverso linee guida internazionali. Un tempo, invece, eravamo fautori di una medicina più vicina alla filosofia. Non a caso, nel passato tutti i grandi filosofi, pensiamo a Voltaire, agli Illuministi, per colmare le loro lacune studiavano medicina. Era la completezza della cultura scientifica. Oggi si cura una malattia e non l’uomo. Ma se il medico capisce tutto questo, si ferma un attimo – ecco perché è perplesso – e fa delle scelte vicine all’uomo più che alla malattia”.
Questa esperienza letteraria ha fatto nascere una passione per la scrittura, o pensa sia stata solo una parentesi?
“E’ la mia prima esperienza, un esordio che mi ha fatto conoscere un lato del mio carattere. Il riscontro dei lettori mi spinge a continuare, sto già scrivendo un’altra cosa. Cerco di rendere produttiva l’insonnia”.
Cosa rappresenta l’immagine di copertina?
“Il quadro è stato fatto da un amico pittore, Nino La Barbera, e descrive un luogo che mi rappresenta: la discesa che facevo con la vespa da Sorrento a Positano. E’ anche questo il bel tempo di cui parlo, bellezza atmosferica e dei luoghi di cui subisci la fascinazione, come la sindrome di Stendhal”.