di Francesca Ghezzani
“Una lezione di rivalsa”, uscito lo scorso 9 gennaio per Indomitus Publishing, segna il ritorno di Dario Galimberti con il quinto, attesissimo capitolo della serie gialla noir dedicata al delegato di polizia Ezechiele Beretta. Un successo consolidato che, con ogni nuova uscita, conquista il cuore degli appassionati di gialli storici e noir, confermandosi come una delle serie più amate del panorama letterario italiano.
Già responsabile del corso di laurea in Architettura della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana e professore in progettazione architettonica, hai pubblicato scritti specialistici su riviste di settore e alcuni testi professionali, per poi nel 2014 esordire con Il Bosco del Grande Olmo. Dall’architettura alla narrativa come è stato il passo?
Scrivere un romanzo, in particolare un romanzo giallo, presenta una forte analogia con la progettazione architettonica. Il celebre architetto neoclassico francese Étienne-Louis Boullée affermava: “La concezione dell’opera ne precede l’esecuzione. I nostri antichi padri costruirono le loro capanne dopo averne creata l’immagine”. Se riflettiamo su questa frase, ci rendiamo conto di quanto sia fondamentale, già nella fase di concepimento di un’opera, avere chiara l’immagine finale, così da procedere in funzione di essa. La struttura narrativa di un romanzo giallo, a mio avviso, deve seguire la stessa logica, in modo da giungere a un finale convincente, magari spiazzante e non semplicemente scontato. Dal punto di vista compositivo applico quindi una strategia che mi è congeniale e che fa parte del mio modus operandi che uso da sempre. Un altro elemento che accomuna il processo progettuale a quello narrativo è la necessità, in entrambe le discipline, di indagare lo stato dell’arte e la storia. In definitiva, pur generando risultati profondamente diversi, il procedimento compositivo di un romanzo e quello di un progetto architettonico si rivelano sorprendentemente simili.
Oggi torni con il quinto capitolo della serie gialla noir dedicata al delegato di polizia Ezechiele Beretta. Come è nato il personaggio e perché, secondo te, è così amato?
Ezechiele Beretta ha fatto il suo ingresso con “L’angelo del lago”, il primo romanzo della serie. Avevo bisogno di un protagonista investigatore, ma non volevo che fosse l’ennesimo commissario. A Lugano, in quel periodo, esisteva la figura del delegato di polizia, che mi è sembrata originale o perlomeno unica, almeno nel nome. Dalle recensioni, dai commenti dei lettori e dalle conversazioni con chi ha letto il romanzo, mi è parso di capire che Ezechiele Beretta venga apprezzato per una certa normalità. Pur essendo ostinato e appassionato del suo lavoro, non è mai sopra le righe: ha le debolezze di tutti e un grande cuore. Dal punto di vista professionale, ricorda gli investigatori molto “svizzeri” di Dürrenmatt, abili nel ragionamento e nella deduzione, ma poco inclini al confronto fisico.
Quali sono le principali sfide che hai incontrato nel costruire l’intreccio di questo quinto capitolo?
Le sfide o se vogliamo le difficoltà, erano legate ai vari elementi che compongono l’intreccio e ai due riferimenti chiave: Delitto e Castigo e un fatto di cronaca nera realmente accaduto. Interagire con il capolavoro di Fëdor Dostoevskij era ed è un rischio, ma l’incredibile somiglianza con l’episodio di cronaca nera avvenuto nella tranquilla Lugano mi ha spinto a superare ogni titubanza. Di conseguenza, per affrontare le complessità insite nell’intreccio e scongiurare il rischio di incoerenze, è necessario procedere avanti e indietro nel testo e, se necessario, riscrivere interi capitoli.
Lugano e il Canton Ticino sembrano essere quasi un personaggio aggiunto nel romanzo. Potremmo dire che ben si prestano alle ambientazioni noir?
In tutti i romanzi del Beretta, il paesaggio e, ancor di più, gli edifici di valore storico fanno parte degli avvenimenti, e in effetti si possono considerare personaggi aggiunti. La prima vicenda, che ha dato avvio alla serie, aveva l’obiettivo di mettere a fuoco il quartiere Sassello, situato nel centro di Lugano e demolito a picconate con troppa leggerezza dai miei concittadini. Il Sassello era dipinto come un luogo pericoloso, popolato da malfattori, prostitute, ladri e assassini, un’ambientazione perfetta per un romanzo noir. Si scoprirà poi che i veri assassini abitano nelle lussuose ville, mentre gli abitanti del quartiere avevano come unica colpa quella di essere dei poveracci. Un modo per parlare di tutti quei luoghi carichi di memoria, senza la quale non siamo nulla.
Trovi che il panorama editoriale svizzero e quello italiano abbiano dinamiche e gusti simili o differenti tra di loro?
Più che della Svizzera parlerei del Cantone Ticino e mi piace sempre ricordare che è tra i pochissimi luoghi al mondo – fuori dall’Italia – dove la lingua madre è l’italiano. Questo significa, giocoforza, che la nostra realtà letteraria è come quella italiana. In sostanza, per avere un termine di paragone, quello che sta in classifica in Italia lo è anche qui. Sono invece diverse, per chi scrive, le possibilità editoriali in quanto la realtà è così piccola da rendere difficoltoso l’approccio alle poche case editrici esistenti e in genere piuttosto orientate al mercato locale.
Cosa puoi dirci del tuo prossimo progetto? Torneremo a vedere Ezechiele Beretta in azione?
In cantiere, per usare un termine familiare, ci sono alcune cose. Una sceneggiatura per una Graphic Novel animata del primo romanzo con protagonista Ezechiele Beretta, e inoltre è in lavorazione il sesto episodio del delegato di polizia, questa volta alle prese con il controspionaggio durante la Seconda guerra mondiale.