di Paolo Paolacci
Principe e critico d’arte, attualmente è direttore artistico della Rassegna di Arte Contemporanea alla Villa Comunale di Frosinone ed è presidente della Biennale di Arti Visiva di Anagni e Frosinone.
Un curriculum impressionante che proviamo a sintetizzare: regista teatrale, giornalista (ha vinto il premio di giornalismo Saint Vincent) e cronista per la tv, è tra i fondatori del Tg3 con Agnes, Curzi e La Volpe; ha sdoganato le interviste telefoniche in radio (prima proibite per ragioni tecniche) contattando Neruda, Salvador Allende e Isabel Allende…
Questa intervista, iniziata con la presentazione del volume “L’arte dei Carabinieri” Frusinate Editore, avvenuta a Roma presso la Galleria Internazionale Area Contesa Arte, ci ha permesso di parlare anche del mondo dell’arte e della società di oggi, passando da Giotto a Picasso con semplicità e chiarezza. “Perché il bello e la bellezza dell’arte fanno crescere l’essere umano per una società migliore per se stesso e per gli altri”.
Principe Borghese come è nata l’idea di questo libro”L’arte dei Carabinieri” Frusinate Editore?
“Il libro è una raccolta di dieci anni di articoli per la rivista dell’Associazione dei Carabinieri in pensione”.
C’è un percorso temporale dei pittori presenti nel libro e qual è il percorso che li unisce?
“Il percorso delle presenze dei pittori è dettato dal calendario delle mostre annunciate delle loro opere: una occasione per parlare di loro e offrire una opportunità ai carabinieri e alle loro famiglie di visitare le varie esposizioni”.
Approfittiamo della sua gentilezza per conoscerla meglio. Per esempio da critico come ci si pone di fronte a un quadro?
“Molti artisti importanti hanno scritto volumi su come ci si deve porre davanti ad un quadro. Saper Vedere è certamente opportuno per capire le intenzioni dell’artista, la tecnica, l’uso del colore e la sicurezza del segno, la scorrevolezza dell’impasto o la materialità voluta dell’immagine. Tutti elementi che fanno parte dell’opera, come la dolcezza nel figurativo, la somiglianza in caso di nature morte e di ritratti, l’espressione e la vivacità dello sguardo, mentre nell’astratto è l’accostamento nello spazio di segni e colori. Che non sia la ricerca del meravigliare e stupire, ma resta fondamentale, oltre ogni dettaglio tecnico, la capacità dell’opera di attrarre lo sguardo e colpire per il sentimento che riesce ad esprimere”.
Che cos’ha perduto l’arte nel tempo secondo lei? Non possiamo definire qualsiasi cosa arte credo…
“Per secoli gli artisti hanno dipinto su commissione: dovevano rappresentare quello che era stato loro ordinato di raccontare. La capacità di farlo con un proprio stile, con la propria immaginazione, con i loro sentimenti faceva diventare arte un dipinto. Se mai anche con una provocazione, rappresentando un fedele in ginocchio, in preghiera, con i piedi sporchi, come ha fatto Michelangelo Merisi. Oppure dipingendo nell’arte sacra operai e contadini, braccianti nelle prime opere di Picasso e del grande Purificato. Oggi centinaia di persone, anche senza scuola, senza l’esperienza che si faceva una volta nelle botteghe d’arte, dipingono quello che passa loro per la testa, cambiando continuamente stile, correnti artistiche, passando dal figurativo all’astratto, dal razionale all’informale e al pop, distruggendo il mercato dell’arte per l’enorme produzione in offerta e, nel caso migliore, offrendo soltanto decorazione. Tele e pennelli, nell’arte contemporanea, si ritengono superati per lasciare posto a schermi televisivi, luci colorate, installazioni instabili nel tempo e nello spazio, quando, invece, la durata è una delle principali caratteristiche dell’arte”.
Quali sono i pittori che rappresentano meglio la sua idea di arte e che possiamo considerare anche rivoluzionari, in generale?
“Giotto perché compie la grande rivoluzione del suo tempo dando il via all’arte moderna, passando dall’immobilismo ieratico dei Bizantini con le figure stagliate sui fondi dorati, alla capacità espressiva delle sue Madonne e alla tenerezza del Bambino. E poi Michelangelo, con la forza delle sue sculture, la capacità di scoprire nel marmo i corpi perfetti dentro contenuti. E ancora Tiziano per l’uso meraviglioso del colore, e il Caravaggio per come cattura la luce e per le sue provocazioni. Infine Bansky per la satira verso le istituzioni e la continua condanna del capitalismo stupido”.
Sembra che la semplicità sia sempre più difficile da trovare sia nel vivere quotidiano che nell’arte, è così?
“La semplicità è l’essenza dell’arte: è sempre meglio meno invenzioni tecniche in un quadro per esprimere quello che si vuole. Importante portare avanti una ricerca e sentire quello che vogliamo rappresentare. Nella vita la semplicità è un sogno irrealizzabile: viviamo un tempo nel quale la comunicazione tra persone, nonostante l’esplosione dei social, è morta. Si parla soltanto, e poco, con chi vive accanto a noi e tutto il nostro tempo è occupato dalla consultazione di mail e telefonini, Facebook, Messenger, WhatsApp, Instagram, TikTok e varie. La burocrazia nel nostro paese è tale da scoraggiare qualsiasi iniziativa. Il merito non è considerato e anche per i giovani incontrarsi e capirsi è diventato difficile”.
Marc Chagall e Isaac Bashevis Singer (uno pittore e l’altro scrittore premio Nobel) raccontano quasi lo stesso mondo: cosa può fare l’arte per il mondo?
“Nella situazione attuale l’arte può fare ben poco: condannato il mondo, inquinati aria, acqua e terra, abbiamo ucciso i nostri padri, eliminato tutti gli ismi: ideali come fascismo, comunismo, socialismo, liberismo e capitalismo sono stati, fortunatamente, cancellati. E’ rimasto soltanto l’arrivismo, difficile da debellare. Ma non abbiamo eredi. La crisi morale e materiale è disastrosa, viviamo nel terrore dell’atomica e non siamo stati capaci di lasciare qualcosa di positivo ai nostri figli. L’arte dovrebbe servire a questo: fornire almeno la speranza, l’impegno per un domani migliore. Ma all’orizzonte non si vedono geni adatti a queste prospettive”.
Picasso: “Bisogna avere tempo per diventare giovani”. E’ un genio?
“Bisogna sempre distinguere tra il personaggio e la sua arte. Picasso, quando l’ho intervistato a Parigi, nel 1966, viveva nel terrore di essere cacciato via dalla Francia. Si considerava ed era un immigrato, oltretutto sgradito al potere per le sue idee politiche. Mi ha confidato di approfittare della sua celebrità e di considerare migliori le sue opere del primo periodo, quando dipingeva contadini e operai, che nessuno comprava. Per diventare famoso ha dovuto rappresentare Arlecchini e giocolieri pieni di colori. E poi il cubismo, presto tradito, la rappresentazione degli orrori della guerra, le ricostruzioni originali dell’immagine prima scomposta. Un grande vecchio, con grandi difetti umani, che è restato giovane attraverso l’amore per l’arte e per le donne”.
Siamo ai saluti. Ci dica qualcosa che possa renderci più consapevoli verso l’arte.
“Un critico si deve confrontare continuamente con la produzione attuale dell’arte in genere, sia visiva che letteraria e musicale. Sono appena tornato da Miami dove Art Basel ha messo in mostra le opere di più di 5 mila artisti raccolti da 286 gallerie di 38 paesi: poche le eccellenze, tanta mondezza! Stessa cosa in Italia dove è difficile trovare opere superiori ad un livello sufficiente di preparazione e di bellezza. La bellezza salverà il mondo è stato detto. Per questo siamo sempre favorevoli ad ospitare anche artisti alle prime esperienze, come fa la galleria AREA CONTESA ARTE, nella speranza di vedere una crescita importante e una maturazione dovuta al confronto e alla ricerca”.