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Stefano Marinucci: “C’era una volta la Collatina Antica”, un’utopia archeologica

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di Marisa Iacopino

Sugli scaffali delle librerie fa bella mostra di sé, tra le guide atipiche per camminatori urbani, “C’era una volta la Collatina antica”. Reportage itinerante, racconto della trasformazione di un paesaggio. Stefano Marinucci, scrittore dell’ambiente, traccia dieci itinerari da Porta Tiburtina all’antica Gabii. E’ un percorso lungo un tratto di Roma che sembra aver smarrito la memoria della sua Storia; luoghi in cui il degrado moderno è il triste controcanto alle gloriose rovine del passato.

Abbiamo chiesto all’autore di raccontarci quest’esperienza.

Quanto è durato il “cammino narrativo” fino a Gabii?

“In totale, il cammino è durato quattro giorni e tre notti, è iniziato in primavera e si è concluso in un altro periodo dell’anno. Il libro sottolinea i diversi colori delle stagioni”.

Ammaliante la lingua: prosa precisa, asciutta, a volte impastata di poesia. Di professione, sei un tecnico ambientale. Come è nato l’interesse per una narrativa d’inchiesta dedicata a questa zona periferica della città?

“Con il lavoro di tecnico ambientale ho conosciuto molti luoghi in zone industriali dove andavo a campionare, e che poi ho ripercorso.  Per esempio, le Latomie di Salone, antiche cave di tufo con laghetti privati, che dovrebbero essere tutelate. Attraverso questa nuova narrazione, è subentrata l’altra voce, che è quella della Storia, della Mitologia”.

Hai svolto anche un’indagine semantica: per affermare la devastazione criminosa dei luoghi, ti sei fatto onomaturgo, coniando un nuovo termine. Ce lo racconti?

“’Archeocidio’. Un termine che dovrebbe essere inserito nel vocabolario insieme a genocidio, femminicidio.  Si riferisce a luoghi d’arte e strutture antiche depredate non solo per costruire altri monumenti, come in antichità, ma devastati per semplice abbandono, incuria. Pensiamo alla ‘Fullonica’ di Casal Bertone, la più grande dell’impero romano. Un impianto industriale imponente misteriosamente scomparso dai radar degli archeologi. I cittadini aspettavano un sito musealizzato, e invece è stato tutto nascosto, i reperti sepolti in depositi”.

La Fullonica, sito archeologico da ritrovare, per l’epoca non era però fonte di inquinamento?

“Effettivamente si trattava di un luogo nefasto. Uno dei primi siti industriali inquinati d’inizio impero. Durante gli scavi hanno scoperto scheletri infantili. Ciò significa che in quel comparto erano presenti bambini, oltreché donne che pestavano panni dalla mattina alla sera respirando ammoniaca, sostanze sulfuree, urina”.

Tanti gli incontri fatti in quindici chilometri di percorso: Remo, Eriona, Bruto, Antonio. A quali di questi personaggi sei più affezionato?

“Ognuno ha una sua caratteristica letteraria. L’ispirazione viene da persone che ho incontrato non solo in questo cammino, ma anche nel mio percorso di tecnico ambientale. Eriona, ad esempio. Una ragazza albanese venuta a Roma per vie avventurose. E’ uno dei personaggi chiave, è riuscita a scampare a un paio di insediamenti Rom, a trovare alloggio nella casa dello studente e a terminare gli studi”.

Ci sono poi personaggi mitici, come Lucrezia. Chi era esattamente?

“Si tratta di un’antica matrona dalla vita esemplare. Lucrezia ha una forte valenza simbolica e religiosa. E’ uno dei racconti mitici più significativi dell’immaginario romano, parla della donna nella civiltà romana, di violenza sessuale, adulterio, di ruoli familiari. Abbiamo avuto due possibilità di riportare alla luce Lucrezia: nel 1972 e nel 2009, per il cantiere della Tangenziale Est. Non abbiamo sfruttato né l’una né l’altra. L’antica cittadina di Collatia, dove Lucrezia ha vissuto, dove sarebbe nato il seme della Repubblica di Roma, è stata distrutta per sempre. Quello che gli archeologi hanno potuto asportare si trova al Museo delle Terme di Diocleziano, il resto è stato nuovamente sotterrato. Oggi le macchine sfrecciano sopra un luogo sacro ridotto a suburbio malsano. Degli antichi fasti, non rimane che uno scarno cartello: Uscita 15 La Rustica”.

Questo è il tuo secondo libro. Per il futuro che progetti hai?

“Il primo libro, ‘Il maestro delle Soffianti’, per Malatempora, era una raccolta di racconti, ed è appena uscito il terzo, dal titolo ‘Guida ai Fiumi di Rom’a. Lavorerò ancora sul patrimonio storico-artistico della città, ma non posso svelare altro”.

Tu sostieni che “abbiamo estinto il genius loci, lo spirito del luogo”.  Cinzia Tani, che ha curato la prefazione, scrive del tuo libro che è “un romanzo curativo dell’animo della nostra città.”  In conclusione, si può dare una risposta alla domanda che tu stesso poni: “Nei millenni della sua civiltà l’uomo ha saputo creare tanta bellezza. Oggi è capace di rinnovarla o tutelarla”?

“Penso di sì. Ci sono esempi illuminanti. Mi vengono in mente il Macro, all’ex Mattatoio, il Maxi, un museo di arte contemporanea che nasce da un luogo degradato. E ancora luoghi magici, come il Parco della Caffarella che conserva importanti reperti. Bisogna ripartire dal basso, dalle istanze dei cittadini. Occorre pensare all’ambiente e agli ecosistemi come un insieme che riguarda la nostra salute, la cultura, la bellezza. A Roma ci sono tante aree che non riescono a emergere per mancanza di fondi o, forse, di volontà. Eppure basterebbe poco per riscoprirle, tutelarle per dare ancora un senso al nostro paesaggio. Insomma, rimbocchiamoci le maniche e riappropriamoci di un territorio che ci appartiene!”.

 

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