di Mirella Dosi
Giovanni Allevi è stato il primo ad essere premiato sul palco del Med Fest di Cagliari, il festival che ha celebrato la ricchezza e la diversità del Mediterraneo attraverso arte, cultura e sostenibilità organizzato da Giuseppe Ligorio che si è svolto a Cagliari dal 26 al 29 settembre.
Una vera e propria ovazione ha accolto il pianista, compositore, scrittore, filosofo e direttore d’orchestra. Allevi, infatti, dopo aver rivelato di essere gravemente malato è entrato ancora di più nei cuori della gente. Il Maestro ha ricambiato l’affetto che il pubblico gli ha dimostrato raccontandosi a 360° alla conduttrice Barbara Politi. “Come si fa a ricominciare”? la prima domanda che gli viene rivolta. “La mia malattia colpisce soprattutto le ossa della colonna vertebrale. Poi ho due vertebre schiacciate e due fratturate. Questo mi crea forti dolori. Pensavo che il mal di schiena sarebbe stato il problema principale per suonare il pianoforte. E invece no. Il vero problema è stato il tremore alle mani. Iniziavo a suonare e le mani tremavano. Andavo nel panico perché c’era il pubblico e non potevo deluderlo. Così le mani tremavano ancora di più. E si innescava un circolo vizioso. Ricordo in particolare un concerto a Locarno. A metà dell’esibizione stavo per alzarmi e annunciare il mio definitivo ritiro dalle scene. Però il pubblico era talmente carino che ho capito che le persone non volevano la perfezione da me. Ma era veramente difficile suonare con le mani che tremavano così. Allora mi sono ricordato di alcune strategie che utilizza la psicologia comportamentale americana. Tutti noi siamo come delle scatole nere con degli input e degli output. Se un nostro comportamento non va bene – come il mio tremore alle mani – bisogna andare a modificare gli input con un’interferenza. Nel mio caso quando iniziano a tremarmi le mani devo visualizzare un’immagine positiva per ingannare il cervello. Così il circolo vizioso si interrompe. Poi giorni dopo Locarno c’era un concerto a Trento: mi giocavo tutto. Mi siedo, inizio a suonare, parte il tremore alle mani e comincio con le mie visualizzazioni. Pensavo a quanto era bello essere lì. In realtà stavo morendo dentro. Però mi sono accorto che effettivamente stava funzionando. Il tremore era ad un livello accettabile e avevo interrotto il circolo vizioso”.
Ad aiutare Giovanni Allevi nei mesi più difficili è stata la cultura. È lui stesso a raccontarlo con una serenità disarmante: “All’Istituto dei Tumori di Milano una signora mi avvicinò dicendo che voleva farmi salutare il marito che era stato l’organizzatore di un mio concerto tanti anni fa. La signora sorrideva, mentre lui aveva uno sguardo completamente vuoto. Aveva lo sguardo di quando ricevi una diagnosi. Ci vogliono settimane per arrivare alla consapevolezza che la diagnosi è il primo passo verso la guarigione, ma in quel momento ti senti vuoto e non hai nessun appiglio. Sempre lungo quei corridoi un po’ di tempo dopo un’altra signora mi ferma e mi chiede se posso dare una parola di incoraggiamento al figlio che è un mio fan. Questo ragazzo avrà avuto 17 anni e aveva anche lui sguardo vuoto. Inizio il ciclo delle chemioterapie. Una notte mi sveglio per andare in bagno. Era complicato perché ero imbottito di antidolorifici potentissimi. Poi prendevo anche tre antidepressivi e avevo la flebo per l’idratazione attaccata 24 ore su 24. In bagno ho acceso la lucina sopra allo specchio. Ho aperto gli occhi e in quello specchio ho rivisto quello stesso sguardo. Ma stavolta ero io ad averlo. Ero bianco cadaverico, senza capelli, magrissimo. In quel momento ho capito che, se avessi voluto, mi sarei potuto spegnere. Perché non l’ho fatto? Principalmente per non recare un dolore ai miei familiari. Ma anche perché in quei giorni ho riletto l’Iliade. Quando Omero racconta che l’eroe viene ferito a morte o sta per soccombere usa sempre questa descrizione: ‘Il buio scese sui suoi occhi e la notte avvolse il suo sguardo’. Era quello sguardo lì. Lo stesso identico sguardo. Quello che hai nel momento in cui ti senti perso, in cui non hai nessun punto di riferimento, non hai più nessun appiglio. Quello sguardo lo stavo riconoscendo in uno scritto dell’ottavo secolo, a.C. Non mi sono sentito più solo. La fragilità dell’essere umano appartiene a tutte le epoche, a tutte le latitudini, a tutti i tempi. Apparterrà anche all’uomo che ci sarà nel futuro. Questa consapevolezza mi ha mi ha dato un grande sollievo”.
Giovanni Allevi in una situazione di grande difficoltà come quella che stava vivendo ha scelto di non arrendersi, ma di diventare sentinella di bellezza. Parlando delle bellezze del mondo come alba e tramonto, ma anche del futuro che lo aspetta: “Quando ho ricevuto la diagnosi non sono andato a vedere su Internet cosa fosse il mieloma. Avevo notato che era una parola particolarmente dolce perché contiene la parola miele, però c’era quel finale che non mi convinceva per niente. Ma ho continuato a non chiedere niente. Ho affrontato due anni di terapie difficili durante i quali ho scritto tanta musica con il sogno di proporla al pubblico una volta che avessi vinto la mia battaglia. Quando ho comunicato che mi ero ammalato è successo un finimondo da un punto di vista mediatico. Qualche giorno dopo mi è arrivata la rassegna stampa con tutti gli articoli di giornali che erano usciti. Li ho sfogliati velocemente e ho capito che c’era un’ondata di grande affetto intorno a me. Poi mi è caduto l’occhio su un titolo a caratteri cubitali, talmente grosso che non potevo non notarlo. Era un’intervista fatta ad un esperto del mieloma. Il titolo era ‘Dal mieloma non si guarisce mai’. E sotto c’era pure l’aspettativa di vita. Secondo le statistiche il mio futuro non può spingersi troppo in là. Ma non penso di essere una persona che rientra in una statistica. Quindi il mio domani è un presente allargato nel quale voglio farmi attraversare dalla vita”.